Artista
Gennaro
Della Monica
Teramo, 1836-1917
Pittore e architetto teramano, si trasferisce a 17 anni a Napoli per studiare all’Accademia di Belle Arti dove, assieme ad altri pittori abruzzesi e napoletani, porta una ventata antiaccademica che la rinnova completamente. Si trasferisce a Milano e, dal 1863, è a Firenze dove frequenta assiduamente il salotto letterario della poetessa teramana Giannina Milli, confidente di artisti famosi del suo tempo e di consiglieri politici. Dal 1867 rientra a Teramo, per assistervi il padre gravemente ammalato, e ottiene l’insegnamento nell’Istituto Tecnico e nella Scuola Comunale di Disegno. Autore di dipinti storici, religiosi, caricaturali, anticipa, con le sue tavolette dipinte “en plein air”, l’impressionismo italiano mediante un’attenzione quasi maniacale alla luce e al suo portato espressivo. Realizza il borgo medievale di Teramo, sul colle San Venanzio, in stili architettonici differenti (dal neogotico al moresco) il cui edificio principale è l’edificio denominato Il Castello. Riceve numerose onorificenze per i suoi indiscussi meriti di artista, architetto, docente sino ad ottenere il titolo di professore onorario dell’Accademia di Belle Arti di Napoli e continua ad esporre in molteplici occasioni le sue opere a Torino, Napoli, Firenze, Genova, nell’Esposizione Universale del 1884 a Torino.
Della lucida consapevolezza che dettò i suoi Ricordi, pubblicati nel 1902, è prova quando afferma di aver provato un grande “conforto” rinvenendo “nelle opere moderne” quanto, sempre, da lui stesso “vagheggiato e tentato” in termini compositivi, di antiaccademismo e apertura alle nuove espressioni d’arte.
Nelle sue opere, il segno e la luce giocano un ruolo fondamentale, creando superfici misteriose, allusive di un fantasma di colore di partecipazione naturalistica, lacerate talora da un grafismo rapido e nervoso, sostenuto e controllato dalla coscienza dell’insieme.
La sua pittura di paesaggio è di tale freschezza e colore, di tale luminosità, di tale vastità di respiro nelle piccole tavole aggredite dalla sua cromia, di tale giustezza di toni e suggestione atmosferica, a metà strada tra le crepuscolari vibrazioni di Daubigny e il morbido cromatismo di un Chintreuil.